La vita
            

 

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 Mauro proposto come modello agli altri monaci

 

    «Lo condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore» (Osea 11, 14). Fu sempre questo il costume di Dio, di non far sentire la sua voce nel tumulto del mondo delle passioni, bensì nel silenzio e nella solitudine. Così il nostro Mauro nel silenzio del monastero sentì la voce di Dio che voleva attirarlo tutto a sé e che voleva ricolmarlo delle sue grazie e dei suoi favori. Osservava scrupolosamente il silenzio, che è la perfezione dei solitari, la parte della salute, la scala del cielo, il piccolo Paradiso, il gran mezzo per progredire nella perfezione. La vita religiosa fu per Mauro un continuo godimento ed, infiammato dalla bellezza della nuova vita, si segnalava sopra tutti gli altri nel mortificare il suo corpo e nel sottometterlo interamente alle leggi dello spirito. Lo stesso Benedetto ne rimaneva fortemente ammirato e meravigliato. Per le virtù menzionate e per altre ancora il nostro Mauro avanzava rapidamente a gran passi nel cammino della perfezione. San Benedetto senza nominarlo, per non offenderne l'umiltà, lo propose come modello agli altri confratelli. «Noi abbiamo visto - diceva loro - un giovane monaco chiaro ed illustre per nobiltà di sangue, il quale disprezzando tutto ciò che non piaceva a Dio, assoggetta con rigore la sua carne allo spirito; porta coraggioso il peso della Regola monastica, anzi raddoppia i digiuni, le veglie, le mortificazioni e tutte le altre osservanze». Mauro comprendeva benissimo che tali elogi erano diretti a lui, ma non si inorgogliva poiché la sua virtù l'attribuiva alla bontà e misericordia del Signore. Colui che guida gli altri è condottiero di uomini! Per essere tale ci vuole intelligenza, cuore e volontà. Questi si impone a quelli che lo circondano, esercita su di essi un prestigio naturale e li trascina a seguirlo e ascoltarlo. Mauro ardente, generoso, pieno dì fresche energie fu tale!  Il primo monastero fabbricato da San Benedetto fu quello di San Clemente, ai piedi della montagna di Subiaco, lungo la riva destra del lago. i lavori sono stati sorvegliati direttamente da Mauro e tutti, sterratori, muratori, manovali, lavoravano con lena perché ognuno era felice quando poteva dare a Mauro motivo di compiacenza e gioia. Ci racconta S. Gregorio che un goto, deciso di vivere povero in spirito, si convertì e venne a far penitenza presso S. Benedetto il quale lo accolse tanto volentieri. Ora un giorno gli fece dare un ferro curvato in forma di falce, quello appunto che si chiama ròncola, perché sterpasse quel luogo, dove aveva da farsi un orto, il quale era situato sopra la riva del lago. Messosi il goto a tagliare con grande sforzo quella sterpaglia così fitta, il ferro gli uscì dal manico e cadde nel lago, dove l'acqua era così profonda da non esservi più speranza di ripescarlo. Perduta così la ròncola, il goto corse tutto tremante dal monaco Mauro a dirgli il male occorsogli e ne ebbe la penitenza. Intanto il monaco Mauro lo fece sapere a sua volta a S. Benedetto, il quale recatosi nel luogo, prese di mano al goto il manico e lo immerse nel lago; subito il ferro ritornò di fondo all’acqua e rientrò nel manico stesso. S. Benedetto rese la ròncola al goto dicendogli: «Prendi, lavora e stai pure tranquillo».
    Da ciò possiamo argomentare quanta fiducia abbia meritato presso Benedetto il nostro Mauro, e quale profondo concetto questi avesse della santità del grande Patriarca.
    S. Benedetto, sempre sotto la sorveglianza di Mauro, aveva fatto costruire dodici Cenobi, numero simbolico; in ogni Cenobio, dodici monaci ed un abate.
    Dodici gli apostoli, uno il Maestro: Gesù. L'opera dei nostri monaci, destinata a tanta gloria di Dio, eccitava sempre l'avversione di Satana che trovò adesso un alleato nell'invidia di un indegno prete delle vicinanze, di Vicovaro, di nome Fiorenzo. Si narra nei «Dialoghi» di S. Gregorio che la santità dei monaci di S. Benedetto e l'accorrere di tanta gente al loro monastero, davano assai fastidio e amarezza a quel prete degenere. Un giorno tentò di farli morire mandando un pane avvelenato prima che la comunità si fosse messa a tavola per la cena, ma Benedetto scoprì l'inganno e fece portare nel bosco quel pane avvelenato da un nero affezionato corvo. Un'altra volta attentò all'innocenza dei monaci, inviando alcune ragazze scostumate dei dintorni a molestarli con le loro cattive arti distraendoli dalla preghiera e dal lavoro. Ciò vedendo S. Benedetto e temendo la caduta dei discepoli più giovani, siccome capì che tutto questo si faceva in odio a lui, lasciò libero il campo all'invidioso, e ordinate tutte le chiese e i monasteri da lui costruiti rinnovandone i superiori e aggiungendovi frati di santa vita, egli andò a stare di monastero in altro luogo, a Montecassino prendendo con sé pochi monaci.
    Fiorenzo era quasi fuori di sé dalla gioia; per godere meglio lo spettacolo di quella desiderata partenza era salito sul terrazzo della casa e se ne stava allegro a guardare Benedetto che partiva. Ma ecco che inaspettatamente il terrazzo crollò e Fiorenzo morì. Allora Mauro, il fedele discepolo del santo, pensò bene di farne pervenire la notizia a Benedetto, che si era allontanato appena dieci miglia di là, mandandogli a dire: «Ritorna pure indietro, perché il prete che ti perseguitava è morto». A questa notizia Benedetto, da quell'uomo di Dio che era, proruppe in espressioni di gran dolore, perché era morto il suo nemico, e perché il discepolo godeva di quella morte; per cui egli impose pure a Mauro una penitenza, perché mandandogli quella notizia, gli parve che avesse goduto del fatto. Nei Cenobi intanto si pregava per il padre Benedetto, che aveva lasciato i suoi figli diletti. Più di tutti però pregava il novello Abate Mauro che sentiva tutto il peso della sua responsabilità.  
 


San Benedetto manda Mauro da Cassino nella Gallia

 

      S. Benedetto con i suoi monaci, raggiunto Cassino a i circa cinquanta miglia da Napoli e a settanta da Roma, aveva iniziato a costruire sulla sommità del monte Cairo un'abbazia, una costruzione regolare ed ampia ove i monaci potevano avere non solo un buon numero di celle, ma vasti dormitori, un refettorio, la cucina ed accanto all'abitazione uno o più oratori e la capace Foresteria. Non più una molteplicità di Cenobi, che frazionano l'attività e la vita fraterna dei monaci, ma una grande, unica casa ove la comunità possa svolgere vita stabile, dal ritmo ampio e sicuro, ove l'Abate sia uno per tutti: Benedetto! Mauro, frattanto, era stato richiamato da Subiaco per dar mano con Placido e gli altri monaci alla costruzione dì quella che doveva essere la più celebre Abbazia del mondo per aver dato alla Chiesa uomini illustri per santità e dottrina.
    In quel tempo Bertrando, vescovo di Le Mans, spinto dalla fama della santità di Benedetto, gli mandò una commissione composta dall'Arcidiacono Flodegario e dall'Economo Arderado ad offrirgli doni ed a pregarlo di mandargli alcuni fra i suoi monaci più Santi a costruire un monastero della Regola, nel fondo di proprietà della Chiesa.
    S. Benedetto, santamente ispirato, scelse Mauro con altri quattro compagni e cioè: Antonio, Costantiniano, Simplicio e Fausto. Grande fu il dispiacere che ne provarono gli altri monaci, i quali, avendo appreso da S. Benedetto di non essere lontano il giorno della sua morte, avevano riposto in Mauro tutte le loro speranze di futuro e degno successore del gran Padre Benedetto. S. Benedetto li consolò, promettendo loro che per quell'opera di carità che si faceva aderendo alla richiesta del Pio Vescovo, Dio non avrebbe mancato di aiutare l'Ordine e consegnati a Mauro e ai suoi compagni una copia della Regola e del pane e del vino per il viaggio, li congedò. Partiti da Cassino, dopo un primo tratto di viaggio, racconta la «Vita Mauri» di Fausto, si fermarono ad Eucheia dove furono accolti con affetto da due confratelli, Probo ed Aquino. Là furono raggiunti da due monaci, Onorato e Felicissimo cugino di Mauro, che gli consegnarono, dentro una teca d'avorio, delle reliquie mandate da S. Benedetto e cioè tre pezzetti della S. Croce, alcune reliquie della Madonna, di S. Stefano Protomartire e di S. Marti­no, ed inoltre una lettera di benedizione contenente anche profezie circa l'epoca della morte ed altre cose predette da S. Benedetto a Mauro relativamente alle difficoltà che avrebbe incontrato. Mauro e i compagni, inviati i loro fervidi ringraziamenti al venerando Padre, si congedarono e ripresero il loro lungo cammino. Dopo 15 giorni arrivarono a Vercelli. Qui accadde subito uno dei sinistri predetti da Benedetto nella lettera perché Arderado, il messo del Vescovo di Le Mans, precipitò giù per le scale di una torre, riducendosi quasi in fin di vita.  Allora Mauro mosso da grande compassione, avvicinò alle ferite la reliquia della S. Croce mandatagli da S. Benedetto e l'infermo guarì all'istante. Mauro dichiarò senz'altro che il prodigio si era ottenuto per le preghiere di S. Benedetto. Continuando il viaggio erano arrivati alla Chiesa della Beata Vergine sul monte Giura dove furono ospiti di una povera vedova per nome Remeia. Essa era disperata perché suo figlio, consunto da un morbo crudele, stava ormai per morire e San Mauro ne ebbe tanta pena, raccomandò a Dio l'infelice ed ecco che il figlio, da due giorni privo di sensi, improvvisamente si ravvivò. Avvicinandosi intanto la Pasqua, arrivarono in un borgo della città di Sens dove celebrarono la Pasqua nel Cenobio di Font-Rouge, nella diocesi di Auxerre, edificato dal Beato Romano, coadiutore e cooperatore di S. Benedetto, già prima mandato da lui nella Gallia. Passarono insieme in preghiera la notte del Sabato Santo che cadeva il 20 marzo. Arrivati all'ora terza del giorno di Pasqua, il Beatissimo Mauro, mentre era ancora in Chiesa, rapito in estasi, vide a oriente una via costellata di lumi che arrivava in cielo. Così pure due suoi compagni ebbero la stessa visione. Mentre stavano contemplando pieni di stupore, videro in alto un personaggio venerando che disse loro: «Questa è la via per la quale Benedetto, il diletto del Signore, è salito al Cielo». Cessata l'estasi, Mauro corse da Romano e narrò anche agli altri compagni la visione avuta della morte di S. Benedetto. Di là si recarono diretti a Orleans, dove appresero una notizia ben triste, e cioè che il vescovo Bernando era morto e al suo posto si trovava già il successore Donnolo. Mauro, memore delle profezie del venerabile Padre Benedetto, consolò e incoraggiò i compagni abbattuti d'animo e, mentre i messi del vescovo defunto partirono per Le Mans, egli coi suoi rimase ad Orleans.
    Arrivati i sacerdoti a Le Mans furono annunziati al vescovo, il quale li accolse con onore confermandoli nei loro uffici ed accrescendone anche le rendite. Non volle però per niente sapere di dare esecuzione al disegno del suo predecessore, cioè alla fondazione del monastero nella sua diocesi. Si rivolsero allora ad un certo Floro, cugino di Arderado, che aveva vaste proprietà ed era tra i primi nella corte del re Teodoberto. Questi, che era stato sempre desideroso di promuovere opere in onore di Dio e di lasciare tutti gli affari di questo mondo per darsi completamente a Dio nella vita monastica, fece approvare dal re la costruzione del monastero nella sua campagna di Glanfeuil (oggi S. Maur sur Loire) e redatto l'atto di donazione si iniziarono subito i lavori di costruzione sulle rive della Loira a 20 km da Angers.
    Durante la costruzione S. Mauro ottiene alcuni miracoli quali la risurrezione di un chierico caduto da una grande altezza, la liberazione di ossessi, altre risurrezioni.
    S. Mauro dirigeva, durante quegli anni, i lavori dell'Abbazia che egli aveva fondato e che ebbe il piacere di vedere poi ingrandire e sviluppare sia materialmente, soprattutto per l'aiuto economico del re, sia per l'aumento dei monaci che divennero ben 140.  
    In seguito ne fondò ancora altri, sparsi per tutta la Francia, e non mancarono certo i miracoli che accompagnavano sempre gli spostamenti di S. Mauro.
   Si narra che un giorno, mentre egli stava facendo un giro d'ispezione nelle terre del monastero, in località detta Gaudiac, entrò in una stanza con due monaci per prendere un po' di sollievo. Sedutosi, mentre stava recitando con i suoi monaci ad alta voce i Salmi, gli si annunzia che alla porta c'era Ansegario, arcidiacono della chiesa di Agen, il quale desiderava parlare con lui. Mauro lo fece entrare e, dopo che ebbero parlato di quanto occorreva, il Santo, chiamato il monaco Simplicio, gli disse: «Vedi un po' di rinfrescare col vino della carità quest'uomo, che per la sua bontà ed affabilità già da tempo è legato da affetto alla nostra famiglia». E Simplicio: «Padre, vino non ne abbiamo, se non in pochissima quantità dentro un vasetto che di solito porto io legato alla sella». Allora l'uomo di Dio esclamò: «Ebbene, portalo qua!». Difatti gli fu portato e insieme con quello anche il pane. Mauro, allora, facendo sul vasetto il segno della Croce, disse: «Il Signore, che nel deserto procurò al suo popolo da mangiare e anche da dissetarsi con l'acqua che fece scaturire dalle rupi, può ben moltiplicare il vino di questo vasetto da provvedere al bisogno». Ed ecco, prodigio! Sessanta persone (tanti erano appunto i presenti) tornarono per tre volte a bere di quel vino, rimanendo poi il vasetto sempre pieno come se nessuno l'avesse toccato.
 


Morte  di  San Mauro
 

  Racconta ancora la «Vita Mauri» che negli ultimi anni della sua vita S. Mauro si concentrò sempre più nella vita ritirata di preghiera e di meditazione nel suo monastero a Glanfeuil, per prepararsi alla morte che sapeva vicina. Quando egli sentì mancargli le forze, allo stremo delle difficoltà che aveva sostenuto e dei lavori che aveva compiuto per la gloria di Dio, egli sentì nel suo animo un immenso bisogno di solitudine. Egli dichiarò ai suoi religiosi di voler lasciare la carica abbaziale e ritirarsi dal monastero per trascorrere i suoi ultimi giorni lontano da ogni rumore e prepararsi ad una buona morte. E così, per rimanere del tutto libero, fece eleggere un nuovo Abate, che fu appunto il monaco Bertulfo, suo degno discepolo. Apprese intanto dall'Angelo del Signore che molti dei suoi monaci presto sarebbero stati chiamati alla vita del cielo. Egli allora li esortò a prepararsi al gran passo, ed i fatti dimostrarono la verità delle predizioni, perché entro cinque mesi morirono ben 116 monaci a causa di una forte epidemia di peste, fra i quali Antonio e Costantiniano, che erano stati compagni di viaggio di Mauro.
    Allora il Santo si fece fabbricare una piccola cella presso la chiesa di S. Martino, e di lì a poco fu colpito da pleurite, che ben presto lo ridusse agli estremi. Disteso per terra, col suo cilicio conficcato nella sua carne, in quella umida cella, volle essere munito del conforto dei Sacramenti, finché, circondato dalla corona dei suoi discepoli, passava dalla terra al cielo il 15 gennaio 584, con forti dolori ai fianchi, all'età di 72 anni, 41 anni dopo il suo arrivo nella Gallia e 18 di dimora in quel luogo.    

     I monaci del monastero di Glanfeuil deposero pietosamente il corpo del loro fondatore nella chiesa di S. Martino, ove egli passò i suoi giorni in preghiera.
    La triste notizia della morte di S. Mauro si sparse fulminea tra la popolazione del luogo, la quale volle che per tre giorni e tre notti la salma fosse esposta alla loro venerazione.
    Fu un continuo pellegrinaggio di uomini, donne, ragazzi e malati di ogni specie ad implorare dal Santo l'aiuto dell’anima e la salute del corpo, ed i miracoli furono innumerevoli e strepitosi.  

 

 


( S. MAURO ABATE - La vita e la devozione popolare in Acicastello - Libretto curato dalla Congregazione "S. Mauro Abate"- 3a Edizione 1997.  Disegni di  Salvatore Adamantino )

  Libri consultati


BIBLIOGRAFIA

VIE DE SAINT MAUR ABBÉ :  
Impr. P. Lanchise Belleuvre et Dolbeau, Chaussé Saint Pierre,13, Angers, 1868.

VITA DI SAN MAURO ABATE
A. Lentini, Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII del1a Pontifìcia Università Lateranense, 
vol. IX, pp. 210-223.

VITA DI S. BENEDETTO DI S. GREGORIO MAGNO E REGOLA : Città Nuova Editrice.
 

       
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